Bologna, La New York del medioevo

Bologna, La New York del medioevo. Martino da Modena, nel Cinquecento, la dipinse svettante tra le braccia di San Petronio. Il gesuita Giovan Battista Riccioli, nel 1640, sfruttò la sua incredibile altezza per verificare le leggi del moto uniformemente accelerato. Goethe, alla fine del Settecento, le dedicò una pagina memorabile nel suo carnet de voyage. Carmelo Bene, in tempi più recenti, ne ha fatto un palcoscenico per la sua arte.

La Torre degli Asinelli, grattacielo medievale di 97,20 metri, leggermente inclinata, è da secoli la star incontrastata di Bologna. Sarà per l’aspetto iconico o perché è un vero “highlander”, immortale. Le cronache non concordano sull’anno di costruzione: 1109, quando la città era ancora sotto il controllo di Matilde di Canossa, oppure 1119, in età comunale. Ma un decennio non fa molta differenza, dopo aver attraversato la storia affrontando guerre, incendi, calamità naturali e piani regolatori, rimanendo sempre in piedi.

È una sensazione di solidità, infatti, quella che si percepisce avvicinandosi al severo basamento della torre. L’effettiva stabilità e l’inconfutabile resistenza agli “urti della vita” sono scritte nella sua storia, fatta di una lunga sequenza di danneggiamenti e di successivi consolidamenti. L’ultimo intervento, recentissimo, risale a pochi mesi fa, quando sono state rinforzate le scale interne e riqualificata la terrazza sulla sommità.

Nel 2018, a luglio, la torre è stata riaperta con un moderno sistema di prenotazione delle visite e da allora è balzata in vetta alla classifica dei monumenti più amati dai turisti. Prima una scaletta a chiocciola, poi rampe che seguono il perimetro squadrato e buio della torre: 498 scalini possono spaventare, ma Bologna dall’alto è mozzafiato. I tetti rossi, il campanile di San Pietro, le altre torri, piazza Maggiore con la basilica di San Petronio, le strade che convergono a raggiera verso piazza di Porta Ravegnana e via Rizzoli, tratto urbano dell’antica Via Aemilia.

Ma dal belvedere della Torre degli Asinelli si può avere anche una visione a vasto raggio dei territori attorno alla città. A nord, ci sono i colli padovani e poi le montagne. A ovest spicca la torre Ghirlandina di Modena. A est lo sguardo spazia fino al mare. A sud il profilo del Santuario di San Luca sul colle della Guardia e poi le prime propaggini degli Appennini.

LE TORRI: MACCHINE DA GUERRA E SIMBOLO DI POTENZA

Chissà se i frequentatori medievali della torre, tra un tiro di balestra e un turno di guardia, avevano tempo (e sensibilità) per guardare il panorama. Nel XII secolo, periodo in cui la costruzione di torri divenne un fenomeno molto diffuso nell’Italia centrale, le rivalità politiche si risolvevano con le vie di fatto e le torri gentilizie erano non solo il simbolo della potenza economica delle famiglie, ma anche incredibili macchine da guerra e strumenti per il controllo del territorio.

Bologna è stata una sorta di New York medievale, la “selva turrita” che vide Dante durante il suo soggiorno nel 1287. C’è chi ha parlato della presenza di 180 torri e case-torri in quell’epoca. Un calcolo più realistico si ferma però a non più di 80 costruzioni. Oggi, dopo crolli o demolizioni forzate nel corso dei secoli, ne rimangono in piedi una ventina.

Tutto iniziò proprio con la Torre degli Asinelli, la prima a essere riportata dalle cronache. Posizione strategica, appena fuori dalle mura antiche, e prototipo edilizio che farà scuola: fondamenta imponenti, base in gesso crudo (selenite delle cave locali di monte Donato), poi una muratura “a sacco” (due pareti di mattoni che racchiudevano ciottoli e calce), infine mattoni per proseguire fino a 41 un massimo di 60 metri, unica regola da rispettare. Particolare importante: l’ingresso era posto a 7 metri di altezza (non come quello odierno che è al piano della strada) e un pozzo di 9 metri dava il benvenuto ai visitatori indesiderati agli Asinelli.

Ma chi era questa famiglia? I primi membri di cui si hanno notizie sono Gerardo e Pietro, e a loro si attribuisce la costruzione del monumento. Gli Asinelli nel XII secolo appartenevano alla nobiltà bolognese: assunsero molte cariche politiche, parteciparono a due parlamenti della Lega Lombarda e alle Crociate in Terrasanta, ma già nel XIII secolo persero velocemente la loro preminenza. A parte la torre, non ne rimane traccia nella toponomastica cittadina. Anche perché nel 1201 il crollo della vicina torre degli Artenisi (poi Alberici) uccise 37 persone, tra le quali Pietro Asinelli, distrusse porta Asinella e le abitazioni della famiglia.

Nel Trecento la torre passa al Comune. Cambiano le sue finalità militari e di conseguenza anche il suo aspetto. Esigenza dell’epoca era quella di controllare la città e il contado. Signore di Bologna era l’arcivescovo Giovanni Visconti, duca di Milano, che nel 1350 aveva comprato la città dai Pepoli per 180 mila fiorini d’oro. La torre viene innalzata di 30 metri e nel 1353 viene dotata di una struttura straordinaria: una sorta di fortilizio aereo di legno che la circondava a 30 metri di altezza e, attraverso un ponte coperto, la collegava alla vicina torre Garìsenda, la torre mozza, citata da Dante nella Divina Commedia.

SOPRAVVISSUTA A INCENDI, FULMINI, TERREMOTI E BOMBE

La notte di San Lorenzo del 1398, un incendio scaturito dalla lumiera usata per le segnalazioni distrusse la fortezza e le parti in legno, fuse il piombo della campana e indebolì tutta la torre. Il Quattrocento è il secolo del grande consolidamento: il vano interno della base viene rivestito di mattoni e assume l’attuale forma circolare. Una volta a crociera, all’altezza di 34 metri, consolida la struttura. All’esterno il punto in cui si ergeva il fortino di legno viene ornato con un giro di merli in mattoni di arenaria e sulla cima viene realizzata una nuova piattaforma in muratura.

Nel 1488 si aggiunge, al livello della strada, la Rocchetta: una struttura a portici che termina a otto metri d‘altezza con una terrazza merlata, per il momento chiusa al pubblico. Così la torre è arrivata fino a noi, dribblando i terremoti (fortissimo quello del ‘500) e gli sventramenti di inizio Novecento che dettero l’ultimo colpo di spugna allo skyline medievale, e rimanendo indenne persino nei bombardamenti aerei del 1943.

Ha rischiato grosso anche per colpa dei fulmini, almeno fino al 1824, quando venne dotata di un parafulmini. Oggi, decine di sensori registrano ogni sua più piccola oscillazione. Il prossimo obiettivo sarà quello di restituirle la “voce”, quella della campana ritrovata due anni fa per caso nello stanzino sotto la cupoletta del “torresino”, sulla sommità della torre. «Porta incisa la data del 1514 e lo stemma del Comune. Ha suonato fino alla Seconda guerra mondiale. E i suoi rintocchi erano un fondamentale mezzo di comunicazione», racconta Francisco Giordano, storico dell’architettura bolognese e curatore del restauro della rocchetta. «Non si può lasciarla a terra».

Fonte: Bell’Italia – Numero 378 Ottobre 2017 – Testi: Barbara Gabbrielli

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